“Il maestro ha detto: il Dao è così grande che non ha fine, e così piccolo che nulla gli sfugge. Per questo è onnipresente in tutti gli esseri” (Zhuangzi)
Il dao, tradotto per convenzione con “via” o “principio”, è una nozione comune alle scuole di pensiero dell’antica Cina: per i confuciani il dao rappesenta l’assetto morale, mentre le varie tendenze raggruppate con l’appellativo di daoismo vedono il dao all’origine della trasformazione perpetua dell’universo, ineffabile per natura, giacché la realtà con cui lo si vorrebbe classificare è fatalmente caduca, falsificata nel momento stesso in cui viene comunicata.
Il Classico della vita e della virtù, attribuito a Laozi (V secolo a.C.) e redatto alcuni secoli più tardi, e il Zhuangzi, ascritto al maestro Zhuang (IV secolo a.C) ma contenente testi più antichi, cercano di dissuadere il discepolo dal ragionamento logico tramite associazioni assurde e frasi paradossali. Liberando la mente e lasciandosi andare al corso della vita con spontaneità, senza giudicare né forzare gli avvenimenti, secondo il concetto del “non-agire”, l’uomo si inserisce dell’armonia della vita universale, in continuo mutamento.
Il daoismo è erede delle speculazioni cosmologiche e di molte pratiche magico-religiose dell’antica Cina, tra cui la ricerca dell’immortalità.
In seguito alla disgregazione dell’impero cinese nel III secolo d.C., il daoismo, in risposta al crescente bisogno religioso del popolo e alla diffusione del buddhismo, cominciò a dividersi in varie sette, ognuna con i propri canoni e dogmi.