"Se con mente tranquilla una persona parla o agisce, la felicità la segue come un'ombra che mai si diparte" (Dhammapada)
L'esercizio della meditazione (bhavana) si inserisce nel disegno più ampio di un cammino preparatorio fondato sull'etica (sila) e sull?attività meritoria e non è prerogativa della vita monastica buddhista.
Le varie tradizioni buddhiste hanno sviluppato tecniche particolari e organizzato il processo meditativo in maniera diversa.
Tuttavia, si può affermare che in generale esso consiste di due fasi: la meditazione di calma (samatha) e la meditazione di visione (in sanscrito vipasyana, in pali vipassana), il cui obiettivo è il raggiungimento di stati di profonda concentrazione e lo sviluppo della saggezza trascendente.
Prima di poter "usare" la mente, è indispensabile conoscerne il funzionamento ed essere in grado di controllarla e a questo scopo sono finalizzate diverse tecniche che il buddhismo ha in parte derivato dalla tradizione indiana e in parte sviluppato in maniera originale.
Gli esercizi servono a portare la concentrazione a un livello assai superiore a quello che si ha nell'esperienza ordinaria (samadhi).
Samatha consente di calmare e fermare la mente e si fonda su un oggetto o un tema di meditazione. Lo stato di concentrazione e la chiarezza così acquisiti vengono impiegati nel vipassana, ossia la visione intuitiva che consente di penetrare la vera natura delle cose e degli eventi e di pervenire alla prajna (saggezza della vacuità).
La concentrazione profonda che si consegue mediante la samatha e la vipassana, conduce a stati di assorbimento meditativo (dhyana) che non rientrano più nell'ambito delle esperienze ordinarie, ma appartengono a una dimensione trascendente che culmina con l'assorbimento meditativo equanime, meditazione priva di oggetto, pura consapevolezza della cessazione di tutti i fenomeni (o visione della vacuità).