Per tutte le scuole del Vedanta la realtà unica è Dio; di conseguenza, il problema che tutte si trovano necessariamente ad affrontare è quello della relazione fra Dio e la molteplicità.
Il Vedanta (una delle sei darshana, “visioni”) si proponeva di rendere coerenti e sistematiche le intuizioni mistiche delle Upanishad, le ultime raccolte del corpus vedico.
La principale corrente, quella monistica (kevala-advaita) vede come maggior esponente Shankara, (788-820) nato probabilmente nel Kerala, a Kalani.Divenuto rinunciante a otto anni, allievo del guru Govinda, è invitato dal guru di questi, il venerabile saggio Gaudapada, ad operare per risanare la spiritualità tradizionale,offuscata a causa della degenerazione di buona parte del mondo brahminico. Da Varanasi inizia il suo insegnamento e da qui intraprende la sua opera di riforma dell’induismo fondando un ordine monastico, tuttora assai vitale, con cinque sedi principali a Shringeri, Dwarka, Badrinath, Puri e Kanchi.
Il numero delle sue opere è imponete; tra queste i commenti ai Brahmasutra e a diverse Upanishad. Shankara riprende la scoperta fondamentale di questi testi elaborando la dottrina dell’assoluta non dualità (advaita): la molteplicità, infatti, è per lui solo maya, apparenza illusoria dolorosamente fuorviante per l’uomo. Reale è solo l’unità-totalità che trascende ogni aspetto della manifestazione. Nell’essere umano è rappresentata dal Sè, il soggetto eterno e reale che orienta misteriosamente la personalità effimera agente nella vita. Ma questo soggetto, chiamato atman o anche sakshin, il “testimone” della conoscenza, altro non è se non l’Uno-Tutto divino, il brahman.
Alla manifestazione Shankara riconosce un grado di verità parziale, relativo, utile provvisoriamente a indirizzare verso l’unica verità autentica, cioè l’identificazione di se stessi con l’atman e perciò con il brahman immutabile. L’appartenenza allora si dissolve, l’universo stesso si annulla o, più precisamente , risulta non essere mai esistito in realtà.
Tra i successivi esponenti del Vedanta ricordiamo Nimbarka (fra l’XI e il XIII sec.)brahmano dell’India meridionale vissuto nella foresta Vrindavana sacra a Krishna.
Per lui Dio e le altre sostanze, sia spirituali sia materiali, sono al tempo stesso differenziati e non-differenziati, proprio come lo sono l’oceano e le sue onde o il sole e i suoi raggi.
Per Madhva (1238-1317), rinunziante vishnuita nativo del Karnataka meridionale, ogni cosa nell’universo è invece unica, diversa da ogni altra; il Signore Vishnu, però è la sola realtà autonoma, mentre sia le anime sia la materia possono esistere esclusivamente nell’ambito della sua volontà, che regge tutte le esistenze, spirituali e materiali.
Vallabha (1473-1531), infine, sostiene l’identità del brahman, l’Assoluto impersonale, con Krishna, del quale l’universo intero è una trasformazione reale. Fra l’uno e il molteplice non esiste perciò dualità, ma ,a differenza di quanto pensava Shankara, il mondo è “puro” in quanto non provocato da maya.